Era il 21 settembre 1990 – esattamente 26 anni fa – quando il giudice Rosario Livatino sulla superstrada Canicattì-Agrigento venne raggiunto da quattro colpi alla testa per mano della Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra.
Rosario Vitalino aveva 38 anni, entra in magistratura nel 1978 presso il Tribunale di Caltanissetta e l’anno successivo diventa sostituto procuratore presso il Tribunale di Agrigento ricoprendo questa carica fino al 1989, quando diventa giudice a letere.
La sua attività si concentrò soprattutto su importanti indagini sfociate in sequestri e confische di beni. Una vita la sua, anche se breve, concentrata nell’impedire alle cosche mafiose di compiere attività criminali, laddove si pretendeva un atteggiamento debole da parte della gestione giudiziaria, utile per il rafforzamento e l’espansione della mafia. E non va dimenticato che il giudice Livatino stava indagando sul nodo mafia-politica, indagini che anni dopo avrebbero portato alla tangentopoli siciliana. Venne ucciso perché ritenuto da Cosa Nostra troppo severo ed imparziale. Rosario Vitalino, il “giudice ragazzino” come lo aveva definito l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, è stato un servitore fedele e infaticabile della giustizia.
Come esecutori dell’omicidio sono stati individuati Paolo Amico, Domenico Pace, Giovanni Avarello e Gaetano Puzzangaro, tutti condannati all’ergastolo con sentenza definitiva e il 16 ottobre 2001, la Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo per Salvatore Gallea e Salvatore Calafato, accusati di essere i mandanti dell’omicidio.
Vogliamo ricordare il giudice Livatino, uomo di fede incrollabile e di altissimo valore della giustizia con una sua frase “Non vi sarà chiesto se siete stati credenti, ma se siete stati credibili”.