I tre quesiti referendari sul taglio dei Tribunali promossi da cinque Consigli regionali Basilicata, Puglia, Sicilia, Abruzzo e Campania lo scorso 11 settembre 2014 sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale. La questione riguarda la revisione delle circoscrizioni giudiziarie con la quale si vuole razionalizzare gli uffici e le spese legate alla loro gestione. Il fine della riforma – avviata dal governo Monti e proseguita dall’attuale guardasigilli Andrea Orlando – è quello di cambiare il modo di fare giustizia in Italia, cercando di portare fuori dai Tribunali molto contenzioso civile e di informatizzare il processo. Un percorso che sicuramente comporterà inizialmente dei disagi prima di arrivare ad un assestamento, dato che la perdita di un Tribunale o di una sede staccata è percepita come la perdita di un presidio.

I tre referendum abrogativi riguardavano le disposizioni contenute nel decreto legislativo 155/2012 sulla riorganizzazione degli uffici giudiziari, poi modificate dal decreto legislativo 14/2014. Nello specifico si chiedeva l’abrogazione delle misure sulla soppressione di 30 tribunali ordinari, delle corrispondenti Procure, nonché di 220 sezioni staccate di Tribunali ordinari; il secondo l’abrogazione delle disposizioni relative solo al taglio dei 30 tribunali e corrispondenti procure e non le sezioni staccate; il terzo quesito chiedeva anche l’abrogazione della mancata previsione dell’ordinamento giudiziario dei circondari dei Tribunali soppressi. Con la dichiarazione dell’inammissibilità dei tre quesiti referendari la Corte Costituzionale conferma il via libera per continuare il processo di revisione della geografia giudiziaria dell’attuale Governo.